"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

6 novembre 2012

Il calcio è la guerra civile italiana combattuta con i gol.

Gli Europei del 2000 e la guerra di posizione tra Berlusconi e Zoff. Ci siamo permessi anche queste polemiche....

di Antonio Giovanni Pesce - Lo ha scritto chi sa chi e chi sa quando, ma rimane ancora valida l’immagine della vita come un teatro, e delle sue vicende come atti di una tragedia, se grandi sono gli attori, o quadri di una operetta, se sono comparse di mezzo taglia. Potevano concludersi come se fossero stati una immensa Iliade, questi europei del 2000, una Iliade nella quale l’Achille di turno, l’italiano Francesco Toldo, dopo aver annientato la compagnie troiano-olandese, si fosse arreso davanti alla Moira, piangendo per la sconfitta subita dalle Erinni-francesi, l’unica a trovare il suo tallone. Una Iliade rivisitata, certo, ma sempre eroica, sempre epica. Invece, come si suole fare in Italia, il paese di Pulcinella e Pantalone, la falsa giunge quasi un attimo dopo il dramma, e non sai se piangere per il giorno prima, o ridere per le vicende del giorno successivo.



Non è stato semplice qualificarsi, e forse abbiamo toccato, per la prima volta, il minimo storico, scivolando al 14° posto nella graduatoria della FIFA. La nazionale di Zoff sembrava destinata a un tonfo clamoroso. Siamo, invece, arrivati in finale, e a sfiorare la coppa europea. Che, come tutti i bei sogni, ci è sfuggita dalle mani ad un manciata di secondi dalla fine. Avevamo, prima di allora, battuto Turchia, Belgio e Svezia, nei gironi di qualificazioni. Sorte migliore non era toccata alla squadra di Hagi e Moldovan, quella Romania che abbiamo incontrato nei quarti. Prima della finale, gli undici azzurri sono riusciti a sfatare un mito, quello che vuole la nazionale italiana perdente ai rigori: Toldo fa tutto quello che nessuno poteva immaginare, nei tempi regolamentari prima e, poi, al momento di quella roulette che non ci ha mai regalato nulla. La Francia ci aspetta in finale, e per novantatré minuti nessuno si accorge che in campo ci sono i campioni del mondo: passano trenta secondi e ci si accorge che in campo c’è l’Italia, quell’Italia che, forse, deve qualcosa alla Fortuna, e che restituisce con gli interessi. Quanti ne passano di minuti ancora? Dieci? Un quarto? Ci si accorge che in campo c’è una squadra, vestita d’azzurro, che ha una giornata di riposo in meno nelle gambe rispetto all’avversaria. Perdiamo così l’ennesima coppa ad un passo dal traguardo. Ma la perdiamo con onore. Usciamo a testa alta da quel campo. La Francia ha avuto paura, e la vittoria, proprio per questo, se la gusta con più gioia. Solo Desailly, l’ex difensore milanista, vede una schiacciante affermazione francese: si sa, la rabbia di non poter più giocare nel campionato più amato del mondo spinge ad atteggiamenti poco sportivi (fuori campo), e a comportamenti poco leali (dentro il campo) – vedere le gomitate che ha rifilato, di soppiatto, ai nostri attaccanti!
Tutto sommato, dimenticando le scorribande dei teppisti inglesi, così miti in patria, come vergognosamente ubriachi all’estero, e la direzione di gara dell’arbitro Merk (quello di Italia-Olanda, per intenderci!), che avrebbe dovuto, innanzi tutto, tenere sotto controllo se stesso, piuttosto che la partita, avremmo potuto dire di aver sorbito un buon europeo, qualche serata di calma in casa, e qualche altra… meno tranquilla e con il cuore in fremito per i nostri colori.
Avremmo potuto, se l’Italia non fosse il paese di Pulcinella e Pantalone, e se l’Olanda, dal canto suo, non ce lo avesse fatto rimpiangere. Cominciamo da qui.
Montaigne, guarda caso un francese, rimproverava agli abitanti del Belpaese di avere in testa un sola idea, che il giardino del vicino fosse sempre più verde del proprio. A guardare quello olandese, non ci pare affatto. Da noi scoppiano polemiche, se un carabiniere, accerchiato da quattro scalmanati, si permette di usare un manganello. In Olanda, invece, succede di tutto. E quel che è peggio, è che mentre gettiamo queste quattro righe, il governo olandese deve ancora dare una spiegazione plausibile delle sue vergogne. Mettiamole in scena. Atto primo: non si possono usare gli ascensori, per accedere ai posti. Motivi di sicurezza, si dice. Scusa passabile, se non fosse che le autorità sapevano, che avrebbero dovuto accedere allo stadio pure duecento disabili italiani, accompagnati lì da una associazione di volontariato. Non li fanno passare. I disabili, si sa, sono gente “pericolosa”. Inoltre, a persone che non possono usare, in alcuni casi, nemmeno le mani, e che comunque non potrebbero scagliare nulla con violenza (per ovvie ragioni!), tolgono i tappi dalle bottigliette di plastica, perché non diventino “armi contundenti”.  Al ridicolo non c’è mai fine. L’atto secondo si apre con la richiesta di aiuto da parte dei volontari ad alcuni compatrioti, giornalisti RAI in servizio. Alcuni cercano di persuadere la polizia, invitandola ad essere più elastica. Altri, invece, filmano la scandalosa impreparazione del comitato organizzativo, anche davanti alle cose più elementari. Risultato? I volontari se li devono salire sulle spalle, i duecento disabili, fino alle tribune. I giornalisti vengono prima malmenati dalla polizia, poi fermati e trattenuti in caserma per cinque ore. Reagisce con più veemenza l’ambasciatore italiano in Olanda, che il nostro governo. Ma questa è storia vecchia.
Se l’Olanda non fa bella figura, la Francia non è da meno. Ma qui, ci avviciniamo un poco al caso italiano. Nel senso che è un caso “politico” Andiamo con ordine. Jospin, il primo ministro francese, dichiara che la vittoria della coppa europea è una consacrazione della presidenza francese dell’UE, che aveva inizio proprio in quei giorni. Un primo ministro che si mette a leggere fra le righe della storia, come se fosse un filosofo. Cose di lusso! Ma se il primo ministro ci fa ridere, il presidente ci fa sganasciare dalla risa. Per dinci: ammiro la Francia per l’amor patrio dei suoi cittadini, per l’ardore con il quale cantano la Marsigliese, per aver capito che non serve svendere la propria cultura per ampliarla. Sì, amare la propria terra, i propri colori non è un delitto, anzi. Ma è ridicolo che il presidente Chirac dichiari di sentirsi “fiero di essere francese”, in virtù d’una vittoria calcistica. Ora le cose sono due: o ai francesi non è rimasto nient’altro di cui essere orgogliosi che una coppa, o il loro presidente farebbe meglio a mettere da parte la sua retorica patriottarda da quattro soldi. 

Proprio come i nostri politici dovrebbero smettere di politicizzare ogni cosa. In Italia, ormai, si vive in una continua attesa delle elezioni: nessuno lo dice, ma la paura che possano spuntare d’un tratto è sempre in agguato. E si spaventano in molti. Così, ogni scusa è buona per demonizzare, deridere, dire la propria. Berlusconi dà del dilettante a Zoff. Parola in più, parola in meno, la questione è che il CT non ha fatto marcare Zidan e non ha rafforzato la fascia sinistra, dalla quale sono arrivati i due goal transalpini. Apriti cielo: il primo non sa tenere la bocca chiusa in fatto di calcio, il secondo non trova di meglio per dare l’addio alla panchina della nazionale e riprendersi, prima o poi, quella poltrona alla Lazio (che frutta sicuramente di più), che le parole del “signor Berlusconi”, dalle quali si sente “offeso”. Nessuno dei due avrebbe avuto ragione di parlare, replicare, accusare. Il presidente del Milan non stima molto il calcio italiano, e se grida “Forza Italia” lo fa solamente in politica, visto che nella sua squadra i talenti italiani sono ormai un tesoro raro e, ancora peggio, poco ricercato. Il commissario tecnico, dal canto suo, si tiene ben turate le orecchie per due anni, anni di critiche, anche violente contro il suo gioco e le sue scelte tattiche, anni di polemiche, duranti i quali egli non ha mai – bisogna dargliene atto – perso il controllo di sé, se non durante i momenti decisivi di Euro2000, quando accusò un giornalista di “essere in malafede”. Scaramucce di poco conto, anche comprensibili. Poi, però, un giorno decide di reagire con inusitata violenza, anzi dà pure le dimissioni. Lo pregano, infine, come un santo, ma egli è un santo martire, e si sacrifica per difendere il suo onore. Una storia strappalacrime, una vicenda da romanzo d’appendice. Il tragico, però, non è il forte del popolo italico. Noi, il comico ce lo abbiamo nel sangue. E cosa c’è di più comico per una nazione, che ha sulle spalle due milioni di miliardi di debito, un tasso di disoccupazione fra i più alti, una instabilità politica unica fra i membri del G7, del discorrere dei suoi governanti intorno al modulo all’italiana, zona, fuorigioco, marcatura e dribbling?
La ministro con delega allo Sport, Melandri, accusa il capo dell’opposizione di aver “offeso (aridaglie!!!) la nazione”: lei, la Melandri, proprio lei che non si è guardata dall’urtare la sensibilità di chicchessia, entrando assieme al presidente Ciampi nello spogliatoio azzurro. Un bel gesto rincuorare i nostri dopo la finale persa, un poco meno restare lì quando trequarti dei nostri sono già in mutande. Se non si addice al presidente del Milan parlare a sproposito, si addice forse ad una signora di buon gusto gettare occhiate indiscrete (anche con tutta la buona fede possibile)? E ancora non abbiamo finito. Perché dovremmo parlare del presidente DS, Veltroni, il quale rispolvera un vocabolario, che la destra, in Italia, non usa più da almeno una cinquantina d’anni: il post-comunista ed ex-fotografo (lui è tutto al passato!) non ha dubbi: “Berlusconi è un traditore della Patria”. Per una dichiarazione sulla tattica di Zoff? Ciano, il genero del Duce, venne fucilato per questo, e fu la Repubblica Sociale Italiana l’ultima istituzione della penisola ad usare una simile motivazione per eliminare i propri avversari. Veltroni cerca di adattarsi ai tempi, ma li sbaglia sempre.
Cadano nel ridicolo. Tutti. Se dovessimo riportare le sciocchezze che si sono sentite… ma amo l’Italia, la mia patria, fingo che non sia successo poi tanto. Silenzio. Mi censuro da solo. Fra qualche ventennio, mio figlio potrebbe chiedermi spiegazioni sul contenuto di questo articolo, trovato magari fra le carte del mio schedario o nell’archivio in soffitta. M’auguro che altri, nei prossimi decenni, non rammentino nulla di quanto sia accaduto. Silenzio, altrimenti come faremo, sua madre ed io, a spiegare che, quando eravamo ancora fidanzati, ci bastava guardare una partita, per sedere in prima fila nel teatrino della politica?

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