"-E' come nelle grandi storie, padron Frodo, in quelle che contano davvero. Erano piene di oscurità e pericolo, e a volte non volevi nemmeno sapere come andavano a finire, perchè come poteva esserci un finale allegro? Come poteva il mondo tornare come prima dopo che erano successe tante cose brutte? Ma alla fine, era solo una cosa passeggera, quest'ombra. Anche l'oscurità deve finire. Arriverà un nuovo giorno, e quando il sole sorgerà, sarà ancora più luminoso. Quelle erano le storie che ti restavano dentro, che ti insegnavano qualcosa, anche se eri troppo piccolo per capire perchè. Ma credo, padron Frodo, di capire. Ora, so. I protagonisti di quelle storie avevano molte occasioni per tornare indietro, ma non l'hanno fatto. Sono andati avanti, perchè erano aggrappati a qualcosa. - Noi a cosa siamo aggrappati, Sam? - C'è ancora del buono a questo mondo, padron Frodo. Ed è giusto combattere per questo."
J.R.R. Tolkien, Il signore degli anelli.

24 gennaio 2009

CRISI E DEMOCRAZIA IN AMERICA




Dichiarata e proclamata, quale nuovo evangelo, la morte di Dio, la secolarizzazione non sfugge al ritualismo, tipico non già del Cristianesimo, ma della religioni primitive. Rito, cioè sequela sempre identica di una coscienza imputridita.
La democrazia poteva essere figlia della rivoluzione più grande nella storia, quella cristiana, e chiedere dunque una “contrizione del cuore”, durante la quale ogni persona si riconosce colpevole innanzi a Dio, perché ciascuno è responsabile del proprio agire: ormai è chiaro che la storia ha un senso, e Cristo è venuto a dividere il figlio dal padre, il bene dal male. Non è più necessario esorcizzare spettri, né temere forze che non si vedono: Dio ha assunto carne e sangue nella persona del Figlio, chiedendoci un dialogo in cui ogni uomo è interpellato personalmente. Dio non è venuto a salvare il mondo, ma ogni uomo del mondo e dunque, guardando la questione dalla parte della persona, ciascuno di noi. Così come, dall’inizio, ogni persona è stata pensata singolarmente. Forse, ciò che infastidisce il fine teologo –o dovrebbe infastidirgli- di talune teorie sulla vita, non è tanto la conformazione fisica degli albori, ma il pensamento in massa: non ci fu peggiore dottrina, socialmente parlando, del darwinismo.
Ma la democrazia ha scelto un’altra strada. Le tante – troppe- dittature che nella storia si sono avvicendate, stanno lì a dimostrare che uomini fasulli creano sistemi fasulli. Un uomo confuso non può produrre nulla di distinto; l’offuscamento della ragione nel determinare il buon vivere della persona non può poi portare a sistemi rispettosi della stessa: ciascuno mette quel che ha sulla tavola comune, e per ora, possiamo mettere solo i resti di scadente e scaduto ideologismo. Le nostre società accettano, e di buon grado, lo scialacquio di vite, soprattutto di quelle ancora fresche, alle quali viene permesso pure di mettere a repentaglio la vita altrui: passi la droga e l’alcol, quando queste distruggono la vita che liberamente li ha scelti come rimedi al proprio male di vivere. Gli stati liberali non possono imporre personali stili di vita – ancorché, non per questo debbano esimersi dal non incentivarli o, addirittura, stimmatizzarli. Ma quando comportamenti prima facie dannosi per l’individuo, si tramutano in statisticamente assai rilevanti costi sociali, che senso può assumere l’incentivarli, se non quello di arrancare, e addirittura speculare sull’orlo del baratro?

Il 20 gennaio del 2008 l’intero mondo si è fermato. Giurava fedeltà al suo paese, come presidente, un uomo politico tutto sommato abbastanza giovane – e forse per questo ancora inconsapevole del fatto che, su quella tribuna, più che sommo Cesare di una massa informe e multinazionale di creduloni dal mitismo facile, lo si stava issando come futura vittima sacrificale di una pletora di cinici arrampicatori sociali, che presto gli chiederanno di spianare la strada verso un futuro per il quale non hanno alcuna intenzione di sacrificarsi. E se l’andatura sarà anche un poco incerta, o il cammino subirà arresti, o ancora sarà mutato il percorso, allora non ci sarà neppure il tempo di accorgersi della condanna, perché il processo si sarà svolto nei tanti caffè dove ora, invece, si aspetta il domani senza muoversi dall’oggi, ingessati nei propri privilegi di già nati, con una opportunità in più di coloro che sono ancora di là da venire: non c’è più tradizione, dunque non c’è pensamento del domani in rapporto con l’oggi. La vera salvezza, per l’Occidente che si è sempre pensato storico, o almeno lo è da un paio di millenni a questa parte, è stata la tradizione: non etichetta, ma coscienza del limite dell’esistenza umana, e proiezione di questa nell’orizzonte dell’avvenire. Ormai, però, tutto è spento, ogni ardore o speranza.
Barack Obama, quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti d’America, dovrà solo accontentare la stessa folla che ha aizzato con la sua retorica e il suo carisma confezionato. Dei tanti che affollano i palcoscenici, egli è solo il più abbronzato – per usare un’espressione di un nostro popolare saltimbanco. Tutti accomunati da un decisionismo plebiscitario, che cavalca l’onda dell’entusiasmo e l’idiozia delle masse, gaudenti o vogliose di esserlo qui e subito, e che nonostante la storia non faccia altro che divellere le loro costruzioni, arzigogoli mentali il più delle volte nati nei laboratori e propagandati dalla stampa del regime, continuano a piantare le fondamenta sulla battigia del mare in tempesta. Cicaleggiano e non attendono altro che la bella stagione, o che quella brutta passi. E intanto elemosinano speranze a chi per mestiere le vende. A buon mercato, per giunta, come le puttane che le partoriscono, scribacchini dalle penne unte di danaro e potere.
Robespierre non era cattivo: era stupido. Come tutti i vanitosi: stupidi. E come tutti i vanitosi finì male. Eppure era stato messo lì da chi gli mozzò la testa, felice per giunta di farlo, altro messia pronto a salvare il mondo dall’imminente catastrofe. Il mondo non smette mai di credere. La fede è una componente importante nell’uomo, forse la più importante. È il marchio che cambia: dareste mai da bere ai vostri piccoli latte cinese? Poi ci si intossica, e si finisce per non berne più, come se fossero le mucche a contaminarlo di diossina.
Quando i pagliacci smettono di far ridere, la gente abbandona il teatro. E, triste, si rinchiude in camera propria, disertando pure la comunità. Teatro e piazza: i due fondamenti del mondo greco. C’è un nesso indissolubile: il sacro e il profano; la cultura e la politica; la comunità e la società; il dionisiaco e l’apollineo. Alla fine, passata la sbronza, passa pure il buonumore, e si vede tutto scuro.
Quello che c’è più da temere, per una democrazia, sono le soluzioni facili – o, meglio, le scelte compiute in tempo di crisi: non ci si azzecca mai. Diffidare dei saldi. Nessuno regala niente, e la storia, quando fa le bizze, sputa il suo catarro, o addirittura bile. I momenti di crisi non hanno ucciso la libertà economica, o la libertà di stampa, o, ancora, la libertà politica: hanno ucciso, innanzi tutto, la libertà di pensiero. Nel senso che, in quei tempi, il pensiero non si trova in uno stato di libertà, ma in uno stato di necessità. E, di solito, ci scappa l’errore. Il dolore e la paura vanno affrontati, non già esorcizzati: non esistono amuleti, ben che meno possono diventarlo le decisioni politiche.
Nel 1994 l’Italia attendeva una rivoluzione liberale. Venivamo da decine di mesi passati al tintinnio delle manette. Scoprimmo che il marciume era così diffuso da impedire al carro di muoversi, nonostante i buoi avessero avuto modo di farsi valere su tutti i campi dell’Europa, Marcinelle compresa. Cosa rimane di quella speranza? Un doppiopetto pieno d’aria. E il sogno italiano rinchiuso nel cassetto. C’è da augurarsi che il 2008 non soffochi quello americano: il mondo ha avuto troppi buon intenzionati nel secolo scorso. Questo secolo che viviamo non se ne può permette uno, ben che meno uno a stelle e strisce.



12 gennaio 2009

VITO MANCUSO IN GITA COL MONDO. BUON VIAGGIO!

Vito Mancuso è ormai famoso. Ha scritto molti libri, e anche di peso, e soprattutto è stato cresciuto dalle università cattoliche di mezzo Italia, ma è saltato alla ribalta del pensiero pret-à-porter grazie a un testo assai ricco di vetuste dottrine ereticali, riconsegnato al mercato editoriale col titolo di L’anima e il suo destino. Chi conosce il libro in questione sa che Mancuso non deve aver lavorato troppo di fantasia, giacché buona parte di quello che scrive è stato già scritto. La differenza sta nel fatto, invece, che mentre una volta si veniva scomunicati per molto meno, oggi le gerarchie ecclesiali e teologiche della Chiesa sono più caute, e per il semplice motivo che a scrivergli la prefazione e a presentarlo al pubblico è stato proprio un cardinale della Santa Madre Chiesa, S.Em. Carlo Maria Martini. Che da quando gli è andata male l’elezione a papa, gioca a fare l’antipapa con sparate che – detto col rispetto che si deve all’ordine – sanno più di progressiva depauperazione intellettuale che non di un preciso piano di ribaltamento teologico del Magistero.
Quando, all’uscita dell’opera di Mancuso, alcuni giornali anticiparono brani corposi della prefazione di Martini, molti fummo a preoccuparci: se perfino Martini prendeva le distanze, anche se blandamente, anche se timidamente … non venimmo smentiti, anzi.

Da allora – ed era il 2007 – il libro di Mancuso ha venduto 120.000 copie, che per un libro di teologia è un miracolo (Mancuso crede ai miracoli?). Ma dal momento che in Italia non si contano tanti teologici, né altrettanti filosofi, è probabile che il libro, scritto così bene da riuscire a far passare un errore per una verità, sia finito in teste non sempre molto capaci di tener vigile la tensione critica.
L’idea di fondo non cambia mai: avvicinarsi al mondo. Le eresie di una volta, almeno, avevano una carica rivoluzionaria che si disinnescava difficilmente, a volte solo bandendo crociate od organizzando processi e roghi. Il potere politico, poi, equiparava l’eresia al delitto di lesa maestà, perché se si poteva sfidare il giudizio divino così a cuor leggero, figuriamoci quello degli uomini. Federico II, l’imperatore laico (per definizione altrui), gli eretici non li gradiva molto: gli erano affatto indigesti. Ovviamente.
Oggi gli eretici sono funzionali al sistema attuale, che mentre s’ingrossa di corruzione, pianifica le nostre vite e decide il loro tenore, quando non addirittura se siano vite oppure no – cosa che fino a qualche ventennio fa credevano potesse essere possibile solo nella mente di qualche folle pittore mancato – addita la Chiesa come invadente presenza nel dibattito pubblico.

Mancuso ormai è un pensatore. E fin qui nulla di strano, perché pensare è l’unica cosa che agli esseri umani viene bene. O meglio: viene spontaneo. Ma è strano, invece, che nell’epoca dell’allarmismo contro l’ingerenza vaticana, si dia così spazio alle opinioni di un cattolico soprattutto nella cultura laica – la stessa che censura il Papa alla Sapienza, senza però rispondere alle questioni sollevate da quel discorso. E allora due sono le spiegazioni: o Mancuso non è considerato ingerente, o non è considerato cattolico. O è perfettamente del mondo, o non è di Cristo.

Non so. Ma Mancuso, sul Corriere della Sera del 31 dicembre, qualche dubbio me lo toglie. Fa lezioni di umiltà alla Chiesa, asserendo che gliene manca tanta dal momento che non si allinea con i tempi. La gente del nostro tempo finisce per non capirla più. Non bisogna essere sentinelle, pare dire Mancuso, ma semplici compagni di viaggio: ”Credo sia difficile negare l'oggettiva difficoltà del Cristianesimo di venire a patti con il mondo e la ragione contemporanea”. Notava nello Zarathustra Nietzsche – ché anche lui, qualche volta, ne diceva una buona – che “non ci sono più ne pastori né greggi”, tutti vogliamo la stessa cosa, tutti facciamo le stesse cose: e così chi la pensa diversamente finisce di sua di sua piena volontà al manicomio.
Nietzsche non poteva sapere che fine avrebbero fatto i suoi libri, o quali tascapane avrebbero riempito, o che croci disegnato. Mancuso, considerata la storia che ci portiamo dietro, dovrebbe essere un tantino più malizioso: la potenza vaticana non può contare su divisioni armate. E in fatto di mezzi di informazioni e danaro ne ha molti meno del gruppo editoriale che, un giorno sì e l’altro pure, lo chiama a salire in cattedra come successore designato di Emanuele Severino, ormai avanti con l’età, e da sempre notoriamente poco comprensibile alle masse di intellettualoidi che la vanità speculativa moderna sforna.